Il 26-27 febbraio del 1920 usciva per la prima volta Umanità Nova – all’epoca quotidiano – pertanto questo primo numero del 2020 è il primo che si può fregiare in testata dell’anno cento. In pratica, il foglio che avete tra le mani è la testata più antica della sinistra ancora esistente, anche intendendo il concetto di “sinistra” in senso molto lato. In attesa dell’ultimo numero di febbraio – il vero e proprio anniversario – ripubblichiamo qui il testo di Giorgio Sacchetti uscito su Umanità Nova n. 7 del 27 febbraio 2000: nel frattempo, dal 2000 ad oggi, il settimanale, insieme al mondo di compagn* che gli da in vari modi vita e gli gira intorno, nelle diverse redazioni che a turno si sono avvicendate fino alla presente, con negli ultimi anni un mutamento di impostazione generale in direzione maggiormente riflessiva, lavorando in parallelo con i nuovi modi e luoghi della comunicazione in rete, ha attraversato tutti i movimenti sociali del ventennio, sia della penisola italica sia del resto del pianeta, portando voce e dando voce al mondo delle oppresse e degli oppressi ed alle loro lotte, giungendo fino ad oggi, dove continua a svolgere il suo ruolo mentre tanti altri hanno smesso – e da molto prima della loro chiusura materiale. E. V.
Dal 1920 al fascismo
L’idea di pubblicare un quotidiano era stata a lungo accarezzata nel movimento anarchico e nel 1908-09 si era arrivati molto vicini alla sua realizzazione con La Protesta Umana di Milano. Poi, con il convegno di Roma del 1911, si auspica l’edizione di un foglio unico nazionale da iniziare con il rientro di Errico Malatesta dall’esilio. Dopo la guerra la pubblicistica anarchica in lingua italiana riprende la sua consistenza. Al momento della costituzione dell’Unione Comunista Anarchica Italiana, a Firenze nel 1919, si pongono le basi per una collaborazione, da posizioni distinte, fra tutte le correnti. È il passaggio necessario per l’uscita del quotidiano Umanità Nova. La circolare-programma del nuovo giornale viene redatta da Malatesta. Le adesioni sono raccolte da un comitato con sede a Milano animato da Ettore Molinari.
In data 26-27 febbraio 1920 esce – salutato con parole di simpatia dall’Avanti! – il n. 1 di Umanità Nova quotidiano. Fin dall’inizio si tenta un’azione di disturbo ostacolando la consegna della carta, anche se già pagata, da parte delle cartiere governative. Sono allora i minatori del Valdarno che, minacciando lo sciopero nelle miniere di lignite (fornitrici a loro volta delle cartiere), impongono lo sblocco della situazione. Si arriverà in un mese a toccare l’eccezionale tiratura di 60.000 copie (successivamente la media si attesta sulla metà circa). La prima scheda di sottoscrizione porta un totale di lire 16.737,48. A Boston si raccolgono 4.000 dollari per l’acquisto di una rotativa (già utilizzata dagli austriaci per la propaganda di guerra) e di una Monotype.
“(…) È un giornale – relaziona il prefetto di Milano al ministero – fondato con somme provenienti da sottoscrizioni di anarchici e simpatizzanti delle varie regioni d’Italia, e con sottoscrizioni dell’estero, notevolissime a tale riguardo quelle ricevute dall’America e che continuamente pervengono. È giornale abbastanza diffuso fra le masse operaie e molto ha concorso ad una maggiore diffusione il fatto di essere stato mantenuto a centesimi dieci il prezzo di vendita. Ha tipografia propria in via Goldoni 3, ma non sono eccessive le spese di redazione e di ufficio, poco numeroso essendo il personale di redazione e quello destinato alla stampa del giornale.”
La vicenda di Umanità Nova – prima quotidiano a Milano con le pubblicazioni interrotte in concomitanza dei fatti del Diana, poi a Roma dove esce a periodicità settimanale e varia fino alla chiusura definitiva nel 1922 – viene seguita e documentata dalla direzione generale di Pubblica Sicurezza. Dopo la “grande speranza” e la sconfitta del movimento delle occupazioni nelle fabbriche, nonostante l’arresto di tutti i redattori, il giornale continua le sue pubblicazioni.
Le fortune del fascismo sono strettamente correlate alla soppressione violenta di ogni forma di opposizione. I decreti sulla stampa in vigore dal 1924 e la legislazione speciale per la difesa dello Stato sanciranno solo una situazione di fatto. I giornali anarchici subiscono sorte analoga alla stampa del movimento sindacale e socialista, dei popolari, dello schieramento democratico. Le aggressioni avvengono in sequenza: prima gli organi quotidiani di battaglia militante, infine i periodici di riflessione culturale e di dibattito teorico. La consistenza delle testate anarchiche passa così da 28 nel 1921 a 3 nel 1926.
Tocca ai “compagni di Roma” – una volta cessata la redazione milanese con la distruzione dei locali – ad inviare una circolare ai diffusori e ai corrispondenti con l’annunzio della ripresa. La definitiva chiusura del giornale, passato da quotidiano a settimanale nell’agosto 1922, si verifica alla fine del medesimo anno (con il n. 196 del 2 dicembre) attraverso tappe precise: denunzie penali per vilipendio; pesanti contravvenzioni per presunte irregolarità amministrative; tipografia devastata dai fascisti. L’atto finale è la denuncia da parte della questura di Roma contro venti fra ex-redattori, corrispondenti, membri del consiglio di amministrazione per reati di opinione. A ciò si aggiunge il sequestro di documenti; la confisca della cassa del giornale. Fra i denunziati c’è anche un certo Volin “suddito russo non identificato”.
Il “ritorno” di Umanità Nova e la lotta partigiana
Umanità Nova torna dal 1943 al ’45, con decine di numeri e migliaia di copie di tiratura stampate a Firenze, Genova e Roma, come bandiera dell’insurrezione armata antifascista, dell’opposizione alla dittatura militare alleata. Un’importante riunione clandestina che si tiene nel capoluogo toscano aveva deciso la riedizione della testata. Escono complessivamente 14 numeri fino al maggio 1945 con una tiratura di 8.000 copie. Per questo motivo Lato Latini, quale tipografo e responsabile, viene condannato a cinque anni di carcere dalla Corte alleata; pena ridotta in appello ad un anno, interamente scontato alle Murate di Firenze.
Il primo numero di Umanità Nova clandestino esordisce con l’editoriale: “Salute a voi, o compagni d’Italia e di tutti i paesi; noi, dopo un lungo e forzato silenzio, riprendiamo con immutata fede il nostro posto di battaglia per la liberazione di tutti gli oppressi”. Richiamandosi quindi a Malatesta ed esplicitamente alle teorie del comunismo anarchico, nonché all’esperienza dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori e sottolineando di nuovo i noti principi del fronte unico antifascista, si dà conto degli scioperi operai in atto “per la pace e la libertà” e si precisa che le responsabilità degli orrori della guerra dovranno gravare, dal 25 luglio in poi, anche “sulla monarchia e sul governo monarchico”. Alla ricostituita Confederazione Generale del Lavoro si rimprovera aspramente la collaborazione con Badoglio mentre si propone in alternativa: “I nostri sindacati devono riunire in sé tutte le energie dell’azienda, dal tecnico al manovale, devono avere le loro commissioni interne, liberamente elette dai lavoratori che ne regoleranno l’andamento e lo sviluppo sì che il tutto sia atto al passaggio della proprietà collettiva”.
Nel luglio 1944 anche gli anarchici romani escono con un loro Umanità Nova quale “numero unico commemorativo a cura della Federazione Comunista Libertaria Italiana”.
Dalla Genova dei portuali vero epicentro della resistenza, nella vigilia del definitivo moto insurrezionale, la Federazione Comunista Libertaria lancia il suo appello ai partigiani anarchici e al popolo – “Ruit hora!” (L’ora precipita) – diffondendo per l’occasione uno speciale numero unico che ancora, come a Firenze e a Roma, riprende la testata dell’antico quotidiano diretto da Malatesta. Esso contiene, insieme all’invito a rafforzare il Fronte Unico dei lavoratori, anche una lettera aperta ai partiti del C.L.N. nella quale si rivendica pari dignità con gli altri gruppi antifascisti.
In quegli stessi giorni d’aprile l’edizione fiorentina prefigura l’imminente costituzione della F.A.I. ed il programma da proporre “ai fratelli del nord”. I punti principali di questa dichiarazione d’intenti coincidono con i programmi “minimi” già variamente enunciati. Si tratta di un mix di sindacalismo, municipalismo federalista, comunismo libertario e repubblicanesimo sociale, con una forte tensione utopica che ha come referente “istituzionale” il libero Comune, il Sindacato, il Consiglio di gestione.
Umanità Nova dal dopoguerra ai giorni nostri
Con il congresso di fondazione della F.A.I. (Carrara, 1945) si delibera la pubblicazione in Roma del settimanale Umanità Nova quale strumento di propaganda e di discussione all’interno di tutto il movimento.
Da allora il periodico si pone, in stagioni distinte, come portavoce del movimento libertario; presente con fortune alterne nel mondo del lavoro, nella cultura progressista, nella sinistra umanitaria, nelle manifestazioni dell’antagonismo radicale e di classe. I cambi di redazione segnano svolte e mutamenti di prospettiva. In una prima lunga fase, gestita da Armando Borghi, il giornale ha come referenti quei settori avanzati dell’opinione pubblica attenti ai diritti civili ed alle lotte pacifiste. Dopo il 1965, anno della scissione dalla F.A.I. dei Gruppi di Iniziativa Anarchica, si entra in un movimentato decennio cadenzato, a partire dalla controinformazione per la “strage di stato” del 1969, dalla ripresa delle istanze libertarie in ambito giovanile studentesco e operaio.
Il 1974 è l’anno della svolta. La redazione viene spostata a Milano; in base a deliberati congressuali diviene collegiale ed assunta a rotazione da vari gruppi (e così sarà fino ad oggi). Passa successivamente a Bologna, a Palermo, a Carrara, di nuovo a Milano, quindi a Livorno, a Spezzano Albanese e a Torino, quest’ultima è una redazione collegiale nazionale, cui partecipano compagni e compagne di Torino, Milano, Reggio Emilia, Bologna, Spezzano Albanese, collegati tra loro in via telematica: a Torino è il recapito postale.
Fino al ’74 Umanità Nova era stampato presso la tipografia G.A.T.E. di Roma, insieme a Paese Sera ed a l’Unità. Da allora, il movimento anarchico decide di dotarsi di una propria tipografia, che viene installata a Carrara, alla quale far eseguire gran parte delle pubblicazioni anarchiche. La stampa è in off-set, mentre la composizione, dapprima su I.B.M., dal 1980 avviene tramite una fotocompositrice, dotata di un elaboratore. Questa attrezzatura consente l’inserimento di unità periferiche, con notevole riduzione dei tempi di lavoro. Proprio in funzione di un miglior utilizzo del macchinario disponibile viene quindi lanciata la sottoscrizione per l’acquisto di un computer. L’utilizzo ottimale dei mezzi informatici diventa infine il punto di arrivo degli ultimi anni.
Attualmente la composizione e l’impaginazione di Umanità Nova sono curate direttamente dalla redazione che provvede ad inviare via internet l’impaginato pronto per la stampa alla tipografia. Per oltre un quarto di secolo – senza soluzione di continuità, nonostante gli avvicendamenti redazionali – il settimanale della F.A.I. continua a vedere la luce negli storici locali della Cooperativa Tipolitografica (già Il Seme) a Carrara in via San Piero. L’impegno per l’uscita puntuale del giornale e lo sforzo necessario per gli adeguamenti all’innovazione tecnologica sono stati garantiti, nel corso degli ultimi decenni, dal contributo e dal lavoro di molti militanti (e dall’assiduità di Alfo). E quindi, dai movimenti del Sessantotto a quelli del Settantasette, al… Duemila continua a dipanarsi il filo rosso-nero della proposta anarchica, sempre con il foglio fondato da Malatesta a fare da cassa di risonanza.
Giorgio Sacchetti
Riferimenti bibliografici:
L.BETTINI, Bibliografia dell’anarchismo, volume I, tomo 1, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze, cp editrice 1972;
G. SACCHETTI, Gli anarchici nell’Italia fascista attraverso le carte di polizia, in AA.VV., La resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo. I giornali anarchici clandestini 1943-1945, Milano, Zero in condotta 1995;
ID., La “Busta 78”: Gli anarchici italiani nelle carte di polizia, 1944-1966, in “Rivista Storica dell’Anarchismo” Pisa, n.2/1997;
A. MANGANO, Le riviste degli anni Settanta, gruppi movimenti e conflitti sociali, a cura di G. LIMA, Pistoia, C.D.P. Massari editore 1998.